Last Updated on 22 Dicembre 2022 by Eleonora Bolsi
Non passa giorno che non ne esca una sull’alimentazione, soprattutto sotto forma di video, sebbene anche ad articoli stiamo messi maluccio. In genere tutta la disinformazione alimentare sulle diete si divide in due tipi, di cui una, il terrorismo alimentare, è sicuramente peggiore dell’altra, il trend del debunking.
L’altra faccia della divulgazione dietetica: terrorismo alimentare vs debunking
La prima tipologia è quella del terrorismo alimentare, parecchio diffuso.
Abbiamo biologi e biologhe, farmacisti e farmaciste, nutrizionisti e nutrizioniste oltre che semplici ricercatori indipendenti che ogni giorno ci spiegano quanto questo o quello facciano male.
Mostrano orgogliosi fette biscottate “all’acrilamide” che sono delle banalissime fette biscottate in cui la destrinizzazione degli amidi viene confusa con lo sviluppo di una sostanza potenzialmente cancerogena se assunta a dosi elevatissime. Perché insomma, quando si parla di reazione di Maillard occorrerebbe pure dire che questa forma diverse sostanze, peraltro innocue, e non l’acrilamide punto e basta, al fine di non spaventare inutilmente la gente. Guru che fanno il giro dei supermercati spaventandoci con quel 0.2% di alcol nel pancarré. Nutrizionisti-e che ci dicono che la colazione con i biscotti fa male, che il cappuccino fa peggio, che la fetta di dolce si mangia solo durante la ricorrenza speciale o guai!
Insomma, avrete capito la tipologia del terrorista alimentare.
Poi abbiamo la tipologia dei debunker, gli anti-bufala.
Ovvero quelli che ti beccano ogni tipo di metanalisi mai apparsa su Pubmed, che è un motore di ricerca che raccoglie (in parte) tutti gli studi scientifici disponibili sulla rete. Ti citano due dati in croce e così ti dicono che quello che sai sulla corretta alimentazione è falso.
Ti fa male la pancia dopo che hai mangiato un’arancia a fine pasto?
Falso! Ma come, se il mal di pancia è tuo, il debunker che ne può sapere? Embè, andando a vedere una metanalisi sul consumo di arance dopo i pasti si è scoperto che sarebbe impossibile per te non digerire l’arancia. E via così.
Intendiamoci, sempre meglio i debunker dei terroristi alimentari, ma il problema è che in entrambi i casi queste persone utilizzano nozionismo per fare proselitismo.
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Da un lato, chi terrorizza lo fa per vendere il proprio servizio, il proprio libro, la propria consulenza o i propri prodotti.
Spesso anche la propria buona fede, nel senso che il terrorista alimentare vende innanzitutto il proprio stile di vita che lui o lei ritiene indiscutibilmente il più sano in assoluto. Non parla mai di scelte personali, ma di scelte fatte in nome della scienza, in genere nella convinzione di poter ridurre alcune malattie, a partire da quelle metaboliche. Per lui o lei l’Eridania fallirebbe, tanto per citarne una. Stargli a spiegare che i carboidrati sono zuccheri e che non ha minimamente senso demonizzare quelli semplici, anche a partire dal semplice zucchero da tavola, è una fatica di Sisifo. Inutile stargli o starle a dire per esempio che negli studi di overfeeding, se selezioniamo quelli in cui i partecipanti dovevano mangiare più alimenti grassi, zuccherini o misti, i grassi sono risultati di norma più ingrassanti dei carboidrati e che, tra questi ultimi, solo gli studi di overfeeding con maggiore consumo di fruttosio si verificava una differenza determinante in grasso viscerale di quelli a maggiore consumo di glucosio.
In genere per tutta risposta il guru ti sommergerà di studi di cui non ha capito nulla, ma in cui ti assicura che il protagonista schiatta male. -
Dall’altro, chi pensa che ogni studio e anche ogni metanalisi, ovvero ogni raccolta di studi su un determinato argomento, sia legge stampata sulle sacre tavole della scienza.
Il problema è che le metanalisi si basano su criteri di eleggibilità che occorre guardare bene prima di dire che i risultati sono attendibili. Spesso i criteri sono limitati al campione di studio e alla durata, poche metanalisi invece selezionano gli studi in base alla correttezza del metodo di ricerca. A quel punto, le conclusioni della metanalisi non bastano: occorre andarsi a leggere studio per studio.
Va inoltre considerato che se uno fa una scoperta scientifica ci saranno solo articoli sulla scoperta. Quindi su molte cose le metanalisi neanche esistono, in genere sono metanalisi che raccolgono studi osservazionali. Ma il debunker non fa ricerca, non sa come si fa, non ha studiato come capire uno studio, e purtroppo spesso si vede. Ripete quello che trova scritto negli abstract delle metanalisi, di solito. Facile fare il debunking così.
Ovviamente, tra queste due tipologie ci sono quelli che a parte qualche scivolone sono davvero competenti. Ma, toh, guarda un po’, se sono medici preferiscono dedicarsi ai loro pazienti e non mettersi a capo di aziende per vendere prodotti dietetici o integratori. Se non sono medici, ma sono ricercatori, insegnanti, nutrizionisti, coach e via dicendo, preferiscono o video lunghi o articoli o nessun video. Questo dato che, perché sia popolare, il video di divulgazione deve essere molto breve. Ma un video corretto di informazione alimentare non può esserlo se non parlando molto al condizionale. Cosa vuol dire?
Vuol dire che. con buona pace di chi fa terrorismo alimentare o prova a smentire anche il commento del tizio con il mal di pancia, l’alimentazione non è una scienza esatta.
Perché la scienza alimentare non è una scienza dura (e pura)
L’alimentazione non è come la chimica o la fisica, sebbene nelle scienze dell’alimentazione rientrino anche fisica e chimica. Ma al centro c’è l’uomo e il suo rapporto con l’ambiente. Come l’uomo mangia non vuol dire nulla se si esclude il fattore ambientale, ovvero tutto quello che la persona nello specifico fa, e che lo cambia in modo unico.
C’è gente che non digerisce e non digerirà mai i legumi.
E gente che con certi esercizi o certe diete non dimagrisce, e non è detto che sgarri o esegua male gli allenamenti.
La scienza dell’alimentazione è insomma una scienza particolare perché l’equazione perfetta non esiste. Vale più la pratica, come in tutte le cose che riguardano l’essere umano. E questo vuol dire che sugli alimenti e il loro effetti sull’uomo sono pochissime le cose certe che si sanno.
Siete scettici?
Ebbene, quello che dirò adesso vi farà pensare.
Il legame debole tra studi scientifici, dieta e salute
Negli ultimi tempi la rivista Nature ha lanciato una serie di editoriali: in quanto editoriali, non appariranno mai su nessuna metanalisi, eppure citano dati, perché sono editoriali scientifici. E quindi devono sapere argomentare e argomentare attraverso dei dati.
Il tema di questi editoriali è il rapporto tra scienza e studi in vari ambiti, tra cui quello alimentare.
L’editoriale che ho linkato sopra prende in esame alcune cose che si affermano sugli alimenti che fanno male o bene all’uomo. Per esempio: quanta carne dovremmo mangiare, se la mangiamo, a settimana? E dimostra che tra le organizzazioni scientifiche non c’è parere unanime. Questo è un grosso problema a livello divulgativo, per cui diventa letteralmente vero tutto e il suo contrario.
Ad andarci di mezzo è il consumatore, la persona che vorrebbe informarsi, ma non sa a chi prestare fede.
Al dietologo che parla in tv? Allo studio che è disponibile solo in abstract?
Alla metanalisi che raccoglie studi secondo certi criteri ma ne esclude molti altri?
Tanto che all’University of Washington di Seattle hanno deciso di creare un sistema di catalogazione dei dati che funziona con le stelle. Se uno studio riesce a stabilire un legame di causalità molto forte tra il consumo di un determinato cibo e un peggioramento o miglioramento della salute, allora avrà cinque stelle. Più questo legame diventa fumoso, meno attendibile è la ricerca. E verrà bollata come tale.
Sia chiaro: come spiega l’editoriale non è che la ricerca con massima votazione di attendibilità sia legge scritta. Descrive qualcosa di molto attendibile alla luce di ciò che si sa. Con il vantaggio però di avere una base solida su cui partire per aggiornare le conoscenze: questo perché si valuta il metodo di ricerca, e non solo i dati, eliminando il più possibile i biases, ovvero le debolezze argomentative o procedurali.
Cosa è venuto fuori?
Applicando il sistema di Seattle, è emerso che gli studi sull’alimentazione sono i più deboli a livello di affidabilità scientifica. Mentre quelli che per esempio hanno trovato una correlazione tra fumo e tumore ai polmoni avrebbero solide basi scientifiche.
Quindi il guru che su Tiktok vi dice che il cappuccino va evitato e che fate male a mangiare biscotti che farà se questo sistema dovesse prendere piede? Ma anche la categoria dei debunker avrebbe qualche problema: quali studi raccolgono le metanalisi, gli attendibili o i non attendibili?
Perché la scienza alimentare non è una scienza dura. Facciamo due esempi.
Avete presente la correlazione tra consumo di carne e tumore?
Ebbene, già si sapeva che questa correlazione era debole per le carni non lavorate (i salumi sono carni lavorate). E infatti è risultato proprio questo anche applicando il nuovo sistema. Mangiare carne non lavorata non causa tumori né infarti per quanto sappiamo adesso. Al contrario, la correlazione tra consumo di vegetali e riduzione di patologie cardiovascolari ha una forza media: gli studi non sono attendibili al cento per cento, ma lo sono più di quelli sulla carne.
Ma, d’altro lato, questo non vuol dire che mangiare più carne “faccia bene”: bisognerebbe prendere i dati per quello che dicono (e non dicono), sforzandosi di non trarre conclusioni.
E magari nella divulgazione spiegare altre ragioni per cui si consiglia di limitare la carne: per esempio l’impatto ambientale. Senza tuttavia fare terrorismo alimentare.
L’altra faccia della divulgazione alimentare: conclusioni
Quello che a me preme sottolineare e con cui vorrei concludere questo articolo, è questo:
sia il terrorismo alimentare che la caccia alle bufale a tutti i costi sono esempi di divulgazione non scientifica. E hanno delle conseguenze.
Di recente per esempio dalla Carta di Padova, un’indagine sulla salute di adolescenti e ragazzi europei, è emerso che solo il 2% degli under trenta ha uno stile di vita che secondo i parametri scientifici è sano. I ragazzi fanno sempre meno attività fisica, fumano, consumano alcol, non mangiano quotidianamente frutta e verdura.
Eppure sono molto attivi su quei social, come Tiktok, dove i video di nutrizionisti/terroristi e debunker sono milioni, gli influencer migliaia.
Se questi giovani hanno più di 25 anni, fanno parte del target di questi divulgatori a vario titolo: se ne hanno 13, lo saranno i loro genitori.
Ora: immaginiamo il secondo scenario, di un ragazzino o una ragazzina che cresce tra tanti divieti. A casa non mangia mai un biscotto, cresce tra discorsi su grasso corporeo, diete, alimentazione sana, divieti di vario tipo. Vede i suoi misurarsi i bicipiti o pesarsi ogni santo giorno. Non è difficile ipotizzare che un comportamento reattivo come uscire e mangiare la qualunque, bere e fumare o non interessarsi a fare moto possano essere conseguenze di un’alluvione informativa o di eccessi in famiglia.
Il problema insomma non è diventato più informarsi.
Non nell’era di internet. Abbiamo semmai fin troppa informazione ma non abbiamo gli strumenti per capirla. Peggio, siamo manipolati da chi interpreta i dati per avere like.