di cosa parliamo quando parliamo di chimica

Di cosa parliamo se parliamo di chimica alimentare

(Ultimo aggiornamento: 20/01/25)

Questo articolo, che non leggerà magari nessuno, è una risposta a una polemica di alcuni divulgatori scientifici, per esempio Bressanini.
Una polemica, quella su cosa si intende dire quando si parla di chimica alimentare, che Wittgenstein avrebbe definito uno pseudo-problema, e che in sostanza si risolve studiando come funziona il linguaggio, più che altro.

Vediamola insieme.

Si prende a esempio un video di nutrizione, in cui una esperta di nutrizione più o meno qualificata, parlando di prodotti lavorati industrialmente, li definisce chimici o, in generale, parla di chimica.

Ecco, quello non è il linguaggio scientifico, e non è neanche un termine proprio di una divulgazione scientifica fatta bene come quella di Bressanini.
Invece è un termine ingenuo. E questo fa arrabbiare tutti coloro che non capiscono che esistono semplicemente diversi linguaggi, e che quello ingenuo o comune, cioè la maniera in cui le persone di norma si intendono e si esprimono, è tutta un’altra cosa rispetto ai loro.

Va bene la precisazione, anzi, è doverosa, ma è spesso accompagnata a una presunzione sul mestiere degli altri, per cui se scrivi in modo che le persone ti intendano, allora sei ignorante.

Vediamo quindi di cosa parliamo quando parliamo di chimica nella dieta a livello del linguaggio comune, ingenuo o di tutti i giorni.

Di cosa parliamo se parliamo di chimica alimentare

La maggior parte delle persone quando parla di chimica riferendosi al cibo intende parlare di cibo industriale in cui la sintesi di certi elementi, che non sono più naturali, è parte dell’artefatto di quel cibo stesso.
Il cornetto o la brioche da colazione chimica è una brioche o un cornetto senza burro, ma con dei surrogati. Ci siamo?
La salsiccia bella rossa è artefatta rispetto alla fettina di carne. Non soltanto per via degli additivi, ma perché ci metti del colorante di sintesi per darle l’aspetto rosso che vuole rimandare al prodotto fresco e poi della roba sparsa per ridurne la carica batterica.
E le persone quindi con chimica vogliono intendere tutta quella roba lì legata alla lavorazione industriale del prodotto: ovvero artefatto o anche artificiale, alterato, sintetico.
Gli inglesi/americani utilizzano il termine processed foods o highly-processed foods, che però in italiano non rende.
Perché un alimento lavorato può essere la pasta.
Ma non significa che la pasta sia “chimica” in senso ingenuo.
Mentre invece gli americani si capiscono benissimo, perché non hanno una lavorazione industriale che trasforma il prodotto partendo da due soli ingredienti. Nella lavorazione dei loro cibi c’è tutto un mondo di aggiunte.

Cosa obietta chi invece parla il linguaggio che ha studiato? Sia della chimica, della biologia o altro.
Obietta che la chimica è un linguaggio che traduce tutto, sia la natura che la sintesi. Quindi l’oggetto pera può essere tradotto chimicamente in formule. Per cui l’oggetto pera diventa oggetto della chimica.
E grazie.
Quando una blogger come me e altri parla di “eliminare la chimica alimentare” o “fare attenzione alla chimica negli alimenti” o “fare attenzione ai prodotti industriali” fa una semplificazione.

assorted-biscuits

Il problema di fare i brillanti cercando di ribadire l’ovvio, è che anche tacciare qualsiasi cosa di buon senso come “pseudoscienza” ha fatto il suo tempo. Perché già la divulgazione scientifica, se loro ci pensassero un attimo, non è la scienza e non ha il linguaggio della scienza.
Ovviamente è popolarizzato. Ed è quindi esso stesso pseudoscienza.
Non fai ricerca scientifica usando il linguaggio del divulgatore: provateci e dall’accademia vi cacciano a pedate.
Usi il linguaggio del divulgatore per ridurre quello scientifico in elementi e concetti più semplici senza tradire troppo il significato originale. Ma lo fai per ampliare il tuo pubblico.
Il buon senso è il buon senso e con la scienza non c’entra nulla. Zero.

Esempio di chimica nella dieta nel linguaggio normale

Se io vi scrivo di evitare di comprare merendine con liste di ingredienti lunghe un chilometro o in generale di evitare la “chimica” nel piatto, so che vi sto dicendo due cose chiare e semplici. E so che scrivendole così voi le capirete esattamente nello stesso modo in cui le volevo intendere.
Ovvero, per chimica: tutti gli additivi, i conservanti, i coloranti artificiali, e quegli ingredienti di sintesi (spesso, non sempre) che vengono usati allo scopo di rendere il prodotto più appetibile. E per liste di ingredienti lunghe un chilometro intendo il lapalissiano: liste di ingredienti lunghe un chilometro.
Non c’è bisogno del cuoco stellato per sapere che un frollino è un biscotto di frolla, che le nostre nonne sapevano fare in casa e che in generale contiene: farina, zucchero, burro, uova, aromi naturali (per esempio scorza di limone). Mettiamo anche che ci aggiungi un lievito (nella frolla non sempre ci sta). Sarebbe farina + zucchero + burro + uova + aromi + lievito.
Vogliamo aggiungerci un pizzichino di sale? E sia. In tutto sono sette ingredienti.

Vediamo ora gli ingredienti di un frollino semplice di una nota marca di biscotti italiani.
Farina di frumento, zucchero, grasso vegetale di palma, uova fresche 5%, agenti lievitanti (carbonato acido di sodio, carbonato acido d’ammonio, tartrato monopotassico), latte intero fresco pastorizzato, sciroppo di glucosio, sale, proteine del latte, miele.
Io conto 10 ingredienti. Il burro è stato sostituito con l’olio di palma, anzi, con il grasso vegetale di palma, indicazione fuorviante. Ora, non c’è bisogno di un chimico per capire che sono state fatte delle sostituzioni. Basta leggere.

Vogliamo parlare dello sciroppo di glucosio? Come vedete non sostituisce lo zucchero nella ricetta, ma si aggiunge allo zucchero nella ricetta. Ah, e come non bastasse c’è il miele, il terzo zucchero. Possiamo dire che alcuni di questi ingredienti sono, come dire, in eccesso rispetto alla ricetta originale? Possiamo dire che alcuni di questi ingredienti che noi non conosciamo bene e che “nostra nonna non riconoscerebbe come cibo”, il grasso vegetale di palma o lo sciroppo di glucosio, sono dannosi per la salute? Sì.
Quindi quando si parla di “chimica” in modo generico o di liste di ingredienti “eccessive, lunghe e con nomi sconosciuti”, anziché puntare il dito contro l’improprietà di linguaggio, non si può più terra terra capire che si sta parlando di ingredienti che non conosciamo neanche e di etichette fuorvianti, per cui non sappiamo letteralmente più cosa mettiamo in bocca?
Sì, dai, sì. Fatelo questo sforzo, anziché ribadire che una caloria vuota non esiste perché una caloria non è né piena né vuota (ma va’?). Sono laureata anch’io e sono andata anche oltre, ho lavorato nelle redazioni scientifiche e sono pignola in molte cose nella vita, ma fare le pulci ai discorsi di buon senso non mi renderà più intelligenti.
E per parlare con le persone, il buon senso vi serve eccome.
Serve per farvi capire.