Last Updated on 1 Novembre 2016 by Eleonora Bolsi
Tutti sappiamo cosa sia la celiachia: una malattia che consiste in una reazione allergia alla gliadina, una proteina del glutine. Le cause della celiachia possono essere sia di natura ambientale che di natura genetica, ma a dispetto di quell’un per cento della popolazione che ne soffre in modo sintomatico, esiste una larga fetta della popolazione che evita i prodotti che contengono glutine per svariate ragioni.
Alcune di queste ragioni riguardano semplicemente mode alimentari, altre volte le persone manifestano quella che è ormai nota come sensibilità al glutine non celiaca (gluten sensitivity), una sindrome che ha in comune con la celiachia alcuni sintomi, pur non essendo celiachia, dato che chi soffre di sensibilità al glutine non sviluppa gli stessi anticorpi dei celiaci. Dunque come diagnosticarla? Finora una serie di esami a esclusione porta a determinare la sua presenza o no (in genere non basta solo un esame), ma potrebbe esserci una novità.
Secondo uno studio presentato a Vienna in occasione della Settimana dell’United European Gastroenterology (Ueg), a causare la sensibilità al glutine non sarebbe il glutine in sé, ma gli inibitori dell’amilasi-tripsina (Ati), presenti soprattutto nel grano e in quel genere di grano o frumento più adatto alla larga distribuzione e commercializzazione: questi Ati scatenerebbero ne soggetti sensibili una infiammazione che porterebbe a una sintomatologia vasta, che va dai problemi intestinali all’artrite reumatoide fino ad asma, sclerosi multipla e lupus. Insomma, scatenerebbe reazioni infiammatorie che potrebbero anche portare a patologie autoimmuni e una serie di sintomi non solo intestinali, come eritemi.
Una scoperta che, se confermata, potrebbe facilitare la diagnosi e la cura di questo disturbo negli anni a venire.