Last Updated on 19 Ottobre 2015 by Eleonora Bolsi
Mangiare poco e spesso fa dimagrire? Quante volte al giorno dobbiamo mangiare per perdere peso e in particolare massa grassa? E’ vero che la frequenza dei pasti è direttamente proporzionale alla termogenesi indotta dalla dieta o che, detto in parole povere, quante più volte mangi tanto più spingi il corpo a bruciare calorie? Il consiglio dato a molti sportivi di mangiare poco e spesso, con anche sei pasti (con un contenuto proteico) al giorno è corretto? E al contrario è vero che mangiare meno volte al giorno fa aumentare di peso, e in particolare di ciccia?
Tante domande, lo so. E, non so quando voi leggerete questo articolo, ma per me è lunedì.
Il momento migliore per prendere il toro per le corna una volta per tutte e rispondere con precisione a tutte queste domande. Con l’aiuto di mister Alan Aragon, una delle voci in assoluto più fidate e stimabili nel mondo della corretta nutrizione e del fitness: Alan infatti non solo è super atletico e muscoloso, ma ha una mente razionale e scientifica come pochi, e le idee chiare. I suoi articoli di sport e nutrizione appaiono sulle riviste scientifiche, fa conferenze in giro per il mondo ed è l’allenatore di atleti professionisti. Insomma, chi meglio di Alan Aragon.
Il quale, infatti, fu tra gli autori di una splendida e accurata metanalisi proprio sul rapporto tra dimagrimento e frequenza di pasti. Una metanalisi è l’analisi e il confronto di tutti gli studi scientifici raccolti su un determinato tema. Nel caso dell’idea che mangiare poco ma spesso faccia dimagrire, infatti, la letteratura scientifica aveva pubblicato studi contaddittori: e così a volte si dava la notizia (e uscivano diete) che mangiare 5-6 volte al giorno facesse perdere massa grassa e aumentare il metabolismo; altre volte si parlava di dati non esaurienti, e i nutrizionisti tornavano a consigliare tre pasti sostanziosi al giorno tra colazione, pranzo e cena (con al limite due spuntini di frutta o verdura).
La metanalisi, pubblicata sulla rivista della Oxford University, Nutrition Reviews, nel gennaio 2015, potete leggerla qui in inglese.
Se volete saperla in parole povere, seguitemi invece a pagina due.