Last Updated on 12 Novembre 2015 by Eleonora Bolsi
Tutti quei cereali, tutta quella soia, e tutta quella industria che le usa massicciamente non stanno facendo un favore al Pianeta, ma stanno poco alla volta distruggendone l’humus. Humus che si compone anche di resti animali, di morte animale, e non solo di vegetali. Madre Natura, secondo Lierre, è cannibale. Riuscire a seguire un’alimentazione che non preveda la morte di nessun animale e di nessun essere vivente è una chimera. Muoiono le piante per nutrirci, muoiono gli insetti, muoiono gli animali. Muoriamo infine noi.
Questo libro è di fondamentale lettura per almeno due motivi, anche se, ovviamente, rimane un punto di vista e anche un buono spunto di riflessione ma non più di questo: il primo, è il punto di vista di una persona che della dieta vegana ne ha fatto per vent’anni la sua bandiera, il suo vessillo. e ha difeso questa sua posizione strenuamente. Non parla male della comunità vegana, afferma, partendo dalla sua esperienza e di quella di altri ex vegani, che la dieta vegana non è salutare come si crede, che cereali, semi e legumi, così come i vegetali, non sono come crediamo a nostro uso e consumo, non sono stati fatti per nutrire l’uomo: sono organismi viventi, con i loro meccanismi di difesa che agiscono con la chimica del nostro corpo.
La produzione industriale della soia la rende pericolosa per l’uomo, esattamente come le tanto vituperate “carni lavorate”: difatti, la soia lavorata industrialmente può generare delle nitrosamine nel nostro stomaco, esattamente come i nitrati dei salumi. Le popolazioni asiatiche non mangiano la nostra stessa soia, e non nelle nostre quantità. Nella dieta Okinawa, per esempio, poco tofu è associato a brodo di pesce e pesce fermentato. Noi, con il nostro latte di soia e i nostri burger di soia, non abbiamo alcuna cognizione di come quella soia nasca, di come venga raccolta e lavorata; non sappiamo nulla dei fitati e degli isoflavoni, e di come neutralizzarli perché non ci facciano male alla salute. Non sappiamo, soprattutto, quanto e come l’industria finanzi la ricerca.
La Keith afferma che aver mangiato vegano per vent’anni le ha creato gravi carenze nutrizionali, e che il piatto vegano è macchiato di sangue esattamente come quello di un onnivoro. Solo che è un sangue nascosto, remoto, in un certo senso indiretto.
Auspica al ritorno di un allevamento solo locale, in cui gli animali ad erba vengono alimentati solo ad erba, e nutrono a loro volta l’humus con i loro resti; in cui anche le coltivazioni siano più responsabili e attente all’ecosistema. Insomma, un libro sicuramente necessario per capirne di più su cosa mangiamo, e anche sulla responsabilità che abbiamo come consumatori, scritto da una persona che può solo essere rispettata per il suo impegno, e per la sua ricerca personale verso una vita migliore.